Sul nuovo numero de L’espresso compare un’intervista a Luigi Luca Cavalli Sforza, famoso genetista genovese (di nascita), professore emerito alla Stanford University.
L’intervista è incentrata sul tema dell’evoluzione culturale, ambito in cui Sforza sta attualmente operando. Le sue ricerche, tra le altre cose, potrebbero darci la possibilità di osservare sotto un nuovo punto di vista le tensioni socio-politiche che si innescano tra culture diverse: proprio quelle che attualmente stanno dando filo da torcere agli equilibri del pianeta (anche se IMHO per avere una migliore visione su questi aspetti basterebbe togliersi un po’ di disinformazione dagli occhi).
Gli antropologi hanno preferito vedere le culture come statiche, o al più parlare di “cambiamento” culturale, senza mai affrontare invece il problema della loro “evoluzione” […] si sono completamente dimenticati di studiare la trasmissione culturale…
La trasmissione culturale viene scissa da Sforza in due meccanismi fondamentali.
Il primo è quello basato sulla trasmissione da genitori a figli, chiamato “verticale”. E’ lento e molto incisivo (essendo basato sull’imposizione) ed è quello che tende a creare le istituzioni e le organizzazioni che tendono ad assumere una vita propria (questo lo linkerei volentieri al concetto di iperrealtà di Derrida). Le idee trasmesse in questo modo hanno un’indice di conservazione forte.
Il secondo, che in quest’epoca sta diventando sempre più importante, viene chiamato “orizzontale”. In questo processo non c’è parentela tra chi si scambia le idee, né un rapporto gerarchico. Spesso questo scambio avviene in modo indiretto, per esempio attraverso la Rete, la tv o la carta stampata. Questi mezzi favoriscono le diffusioni veloci e danno la possibilità di creare vere e proprie epidemie culturali.
Il DNA è il mostro hardware, ma la cultura è il software, e un calcolatore senza software non è niente. E questo software viene trasmesso in modo indipendente dal DNA.
Forse sarebbe stato meglio parlare di livelli diversi di software e tenere il termine hardware per etichettare le strutture che “eseguono” il codice contenuto nel DNA, ma come metafora non è affatto male…
Se siete interessati a questi argomenti vi consiglio la lettura de Il gene egoista, in cui Richard Dawkins (che in questa intervista non viene citato, vorrei sapere perchè) parla, per la prima volta nella letteratura, del concetto di meme. Vi consiglio anche The tipping point* di Malcolm Gladwell (è un consiglio indiretto perchè sinceramente non sono riuscito ancora a reperirlo).
collegamenti: il ciclo di vita dei memi