Piccolo esperimento con Google App Engine (reloaded)

“If we wish to count lines of code, we should not regard them as lines produced but as lines spent. ”  — Edsger W. Dijkstra

Per bruciare un po’ di megacicli al secondo dell’incredibile infrastruttura messa a disposizione dal colosso di Mountain View — per sostenere il peso di (Google) App Engine — ho creato una piccola applicazione semiseria (con python 2.5.2 e i “mattoncini” offerti da Google).

Si tratta di un micro-blog basato sul datastore di GAE (l’unghia del mignolo di BigTable).

Update: passando il tempo il micro-blog è diventato una guida TV.

Per costruirlo ho usato webapp (il framework), le semplicissime API per la modellazione dei dati, sia la classe Query che la notevole GqlQuery, e infine i template di django.

gaeAh, sì… Lato client ho aggiunto un paio di css del progetto YUI*.

Il nucleo del mio codice è composto da poco più di 60 120 165 righe.

App Engine è rivoluzionario (ovviamente senza nessun riferimento politico).

App Engine è anche “umano” (prodotto di umani) e (per questo) imperfetto.

Continuerò l’umile opera di esplorazione di questo scorcio di perfezione.

update del 28 maggio: in concomitanza con l’apertura di Google I/O è stato rilasciato un aggiornamento della piattaforma che comprende l’aggiunta di API per la manipolazione di immagini (resizing, rotating, flipping, cropping, auto-contrast e modifica del formato) simile a PIL e un interessante strato per lo storing di dati in memoria simile all’ottimo memcached.

miss || off – /entry/memcache 200 27ms 1 kb

on && hit – /entry/memcache 200 9ms 1 kb

>>> os.environ.get(‘SERVER_SOFTWARE””,”)

‘Google Apphosting/1.0’

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